Dalla segmentazione tradizionale demografica al targeting in tempo reale. In questo articolo, ripercorriamo le principali tappe che hanno attraversato la storia (recente) del marketing, per comprendere sempre più le potenzialità dei mezzi web e dei big data.
Ogni attività marketing ha uno specifico gruppo ideale di persone cui è rivolto, che vuole colpire, convincere e portare all’acquisto (o comunque all’azione desiderata). Tale segmento di pubblico è detto tecnicamente target e, di conseguenza, il processo di targeting è proprio quello che porta gli strateghi del marketing ad individuare il bersaglio corretto.
Anche se oggi si tendono ad utilizzare similitudini più “dolci” verso il consumatore, il targeting è un processo che tradizionalmente è stato rappresentato proprio come una freccia che colpisce uno specifico bersaglio sulle moltitudini possibili. La premessa è che per soddisfare bisogni e desideri specifici con un prodotto/servizio, non sia possibile colpire indiscriminatamente tutta la popolazione, ma occorra sceglierne un sottoinsieme specifico, grande o piccolo (la cosiddetta “nicchia”) che sia.
Dalle origini del marketing, le cose sono cambiate, sostanzialmente e velocemente. Per questo motivo, ho deciso di raccontarti in questo articolo qual è stata l’evoluzione del processo di targeting con l’avvento del web 2.0 e quali sono le logiche che governano le attività di web marketing. In questo racconto, parleremo principalmente di big data e di due giocatori che stanno dominando questo processo: Google e Facebook.
Il targeting nel marketing tradizionale: le origini
Al principio fu la demografia. Che, detto in parole povere, è quello studio che cerca di suddividere le persone in gruppi basandosi su alcuni attributi statici e sociali, che sono principalmente i seguenti:
- Età
- Sesso
- Collocazione sociale
- Reddito
- Geografia
- Stato parentale
In questo senso, le prime attività di marketing furono dirette a ricercare il bersaglio perfetto con determinate caratteristiche demografiche. Il detersivo di un certo tipo era diretto a donne italiane tra i 25 e i 60 anni, sposate e di reddito medio-basso. La comunicazione, di conseguenza, era concentrata sul far percepire i benefici di questo prodotto a questo tipo di pubblico, scegliendo i mezzi adatti che probabilmente avrebbero raggiunto facilmente il target (per esempio, la radio o la televisione al pomeriggio).
Ben presto, si capì però che le caratteristiche demografiche non potevano essere le uniche a muovere il processo di targeting. Non tutte le donne italiane sposate di una certa età ragionavano e acquistavano allo stesso modo. Per questo, venne studiato e introdotto il concetto di psicografia, che si unì agli attributi descritti in precedenza. Da quel momento, furono gli interessi e le attitudini ad arricchire i target: un detersivo comunicava alle “sportive”, un altro alle “tradizionali”. Mezzi diversi e marketing mix diverso, per gruppi e comportamenti di acquisto diversi.
Il targeting nel primo web: spazi diversi, medesime logiche
Quando internet iniziò ad essere un mezzo di comunicazione prima di nicchia e poi di massa (più o meno, dal 1995 al 2005), le logiche del marketing tradizionale si mossero logicamente e naturalmente anche sul nuovo spazio, ricco di opportunità ancora poco sfruttate.
In questo senso, i primi banner pubblicitari lavoravano con la stessa logica degli attributi demografici e psicografici. Così come certi angoli delle strade erano visitati da certi segmenti di pubblico, e allo stesso modo determinati programmi televisivi e radiofonici, allora non poteva che funzionare ugualmente per i siti internet. Sullo spazio online per i videogiochi sarebbero stati promossi prodotti e servizi per i giovani amanti della tecnologia, attraverso banner mirati. Allo stesso modo, in siti web dedicati alla cucina (un argomento tradizionalmente più femminile), avrebbero trovato il loro spazio prodotti e servizi più tipicamente rivolti alle donne.
Il grande cambiamento del web 2.0: big data e targeting
In questo contesto, due grandi players capirono come dare una svolta senza precedenti alle metodologie di targeting per le azioni di marketing su internet. Grazie all’enorme quantità di dati accumulati dall’utilizzo dei loro servizi, i cosiddetti big data, Google e Facebook cambiarono radicalmente le cose.
Da una parte Google offre un servizio gratuito e di enorme qualità, il motore di ricerca più utilizzato al mondo, che consente di fornire i migliori siti internet a partire da ricerche ben specifiche. Dall’altra, tali ricerche vengono salvate e accumulate dall’azienda di Mountain View, che è in grado di associare attività pubblicitarie specifiche in base alle parole digitate dagli utenti. È così che nasce la piattaforma Google AdWords nel 2000, che permette agli inserzionisti di pubblicare annunci testuali quando gli utenti del motore di ricerca digitano determinate parole chiave.
Dall’altra parte, Facebook ha rivoluzionato la gestione delle relazioni e degli interessi, soprattutto nei giovani delle nazioni occidentali (ma non solo). Nel social network più diffuso al mondo, gli utenti esprimono interessi e preferenze attraverso i pulsanti di interazione (“like”, reactions, condivisioni, commenti). Tale enorme mole di informazioni associa univocamente ad ogni singolo utente determinati profili di interesse, che vengono poi sfruttate dalla piattaforma Facebook Advertising per proporre pubblicità a tema, altamente profilata.
Qualche riflessione conclusiva sul targeting
Nel web 2.0, bisogni e interessi sono identificabili in tempo reale e diventano oggetto di target delle attività pubblicitarie su internet. Non ci si deve più basare su profili presunti per caratteristiche demografiche o psicografiche, ma si può lavorare sul concreto ed esplicitato profilo reale di chi naviga ogni giorno sul web. Di conseguenza, il targeting si è affinato e ha condizionato necessariamente anche le logiche di bersaglio delle attività tradizionali, che stanno cercando sempre più di muoversi verso un concetto one-to-one.
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A presto!
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